
L’annuncio dell’ex presidente americano Donald Trump sull’introduzione di dazi del 50% sul rame, a partire dal primo agosto, ha immediatamente scosso i mercati e acceso i riflettori su una filiera strategica per l’economia globale.
Come spiega una nota di Coface, il provvedimento, maturato nell’ambito della Sezione 232, nasce con l’intento dichiarato di proteggere la sicurezza nazionale, ma lascia spazio a dubbi e incertezze su quali tipologie di prodotti saranno effettivamente soggette a tassazione.
“Ci aspettiamo che gli acquisti anticipati garantiranno livelli di riserve sufficienti fino alla fine dell’anno negli USA” ha commentato Simon Lacoume, sector analyst di Coface, evidenziando come il mercato stia cercando di correre ai ripari, pur in attesa di chiarimenti.
La filiera statunitense, che nel 2024 ha coperto quasi la metà della propria domanda attraverso le importazioni, mostra segnali di affanno: i future sul Comex hanno segnato un’impennata del 13% in un solo giorno, e il premio rispetto ai prezzi della London Metal Exchange oscilla ora tra i 500 e i 1.500 dollari, contro una media di 150 dollari registrata l’anno scorso.
Il Cile, secondo esportatore mondiale verso gli Stati Uniti dopo la Cina, si trova così in una posizione alquanto delicata: la dipendenza dal mercato americano è tale che il flusso di rame verso gli USA rappresenta il 5% delle esportazioni complessive del Paese.
Ernesto De Martinis, Ceo Regione Mediterraneo & Africa Coface, ha commentato: “L’introduzione di nuovi dazi sul rame da parte degli Stati Uniti avviene in un contesto già caratterizzato da forti pressioni sui costi e tensioni geopolitiche crescenti. Le conseguenze rischiano di amplificarsi lungo tutta la filiera industriale, con ricadute dirette sulla redditività delle imprese e sull’equilibrio dei flussi commerciali globali. Per le aziende esportatrici, in particolare nei Paesi produttori come il Cile, queste misure possono rappresentare un fattore critico, incidendo sia sulla domanda sia sulla pianificazione degli investimenti”.
Il rischio è quello di una spirale “lose-lose” che metterebbe in difficoltà sia gli esportatori cileni sia le imprese americane, già alle prese con margini compressi e costi crescenti. Nonostante le previsioni più cupe, che spingono i prezzi fino a 15.000 dollari per tonnellata, il quadro resta incerto: la debolezza della domanda cinese e l’eccesso di offerta potrebbero fungere da stabilizzatori, evitando una fiammata fuori controllo. Ma le preoccupazioni restano, e l’impatto di questa mossa protezionista rischia di proiettarsi ben oltre i confini doganali.