
Oltre 250 testimonianze raccolte dall’agenzia di stampa Dire fanno percepire chiaramente che lo smart working, utilizzato da gran parte degli italiani in quarantena, è altamente apprezzato.
Dai risultati del sondaggio realizzato da Dire emerge la scarsa consapevolezza sulla normativa e sui diritti di riferimento: più di una persona su quattro “dichiara di aver sentito parlare della normativa 81/2017, quella che disciplina il lavoro agile, ma di non essersi mai informata a riguardo”. E quasi una persona ogni 3, invece, “non ne aveva mai sentito parlare”, con solo il 10% degli intervistati che si sono “informati adeguatamente sul funzionamento dello smart working”.
Si ricava quindi l’immagine di un Paese poco informato sulle possibilità dello smart working, una forma di lavoro che sta prendendo piede in tutto il mondo e che anche gli italiani vorrebbero veder crescere anche dopo la fine di questo periodo di emergenza. Quasi l’87% del campione di intervistati vorrebbe incentivare la possibilità di svolgerlo a conclusione dell’emergenza e in linea di massima, 8 persone su 10 dichiarano di non subire forme di disagio o malessere psicologico a causa del lavoro da casa.
Un esperimento sociale forzatamente condiviso che sta prendendo piede nelle ultime settimane ma che non poggia su basi consapevoli. Il 60% degli intervistati ha detto che prima del Covid-19 non c’era possibilità in azienda di svolgere ore in smart working, con oltre 1 persona su 4 senza indicazioni sugli orari da seguire per il lavoro da casa e la grande maggioranza che si adegua a replicare gli orari tenuti in ufficio. La mancanza di informazioni corrette sulla disciplina di lavoro agile continua a farsi strada tra le risposte dell’indagine di Dire: il 45% degli intervistati non sa rispondere se l’azienda abbia il dovere o meno di fornirti informazioni e strumentazioni adeguate e il 28% è convinto che vi sia questo dovere.
Ma non è così, il Sole24Ore riporta infatti che “non bisogna fornire per forza mezzi tecnologici al dipendente (pc, connessione)”. E alla domanda se “il lavoratore in quarantena, isolamento fiduciario o in malattia possa o meno lavorare in regime di lavoro agile”, oltre 4 intervistati su 10 non sanno rispondere e quasi il 30% ritiene di sì, che si possa lavorare ugualmente.
In realtà se un individuo si trova in uno stato di una sospensione del rapporto di lavoro non può in alcun modo prestare la propria attività lavorativa, nemmeno sotto forma di lavoro agile.