
Moltissimi italiani hanno dovuto cambiare il proprio stile di vita e lo stesso modo di lavorare sull’onda dei provvedimenti presi per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
Il boom dello smart working nel nostro Paese è figlio della diffusione del Covid-19 che ha costretto molte aziende ad avvalersi del cosiddetto lavoro agile, dove il dipendente svolge le proprie mansioni da casa. Un’opzione valida solo per i lavoratori che possono permetterselo, ma che ha consentito di non fermare del tutto la vita delle imprese e delle stesse istituzioni.
Il ricorso allo smart working sembra aver conquistato il 33% degli italiani intervistati (1000, di cui il 64% donne e il 36% uomini) per una ricerca condotta da Euromobility. Se il 33% del campione sarebbe felice di poter continuare a lavorare in questa modalità, il 54% sarebbe favorevole al mantenimento dello smart working ma in misura più limitata, mentre il restante 13% tornerebbe alla vita lavorativa di sempre.
Il 63% degli intervistati ha detto che solitamente utilizza l’auto per andare al lavoro.
Insomma, l’emergenza coronavirus si riflette pesantemente su trasporti, consumi e attività produttive di tutti i Paesi colpiti, Italia inclusa, traducendosi in una riduzione delle emissioni di gas serra, in primo luogo di CO2. Una “sperimentazione forzata” che potrà e dovrà proseguire anche dopo la fine dell’emergenza Coronavirus secondo Lorenzo Bertuccio, presidente di Euromobility: “Non può e non deve terminare quando l’emergenza sanitaria sarà rientrata. I primi dati confermano, se mai ce ne fosse stato bisogno, il gradimento da parte dei lavoratori e delle aziende e il contributo che lo smart working può dare per ridurre la congestione e migliorare la qualità della vita nelle nostre città una volta che l’emergenza Coronavirus sarà rientrata”.